“Sono certo, che se tu fossi a Cuba resteresti sbalordito delle cose che qui avvengono. I soprusi sono tali, che solo chi ne é testimone può convincersi della loro realtà”. E’ da qui che parte la rivoluzione per Camilo Cienfuegos, da questa lettera che scrisse ad un amico nel 1956.
Ha 24 anni quando raggiunge il Messico dagli Stati Uniti cui era immigrato, per partecipare alla spedizione castrista del Granma (1956). E’ una età che corrisponde a quella media dei suoi compagni: Camilo è più giovane di Fidel e del Che, ma più vecchio di Raul Castro e di Frank Paìs.
Per il momento, Camilo Cienfuegos è solo un giovane come tanti altri, un semplice volontario mosso dal patriottismo e dallo spirito di avventura. La lotta farà di lui un leader, il “Signore dell’Avanguardia”.
La lotta per le strade, le manifestazioni che nelle città si sono trasformate in aperta protesta, lo coinvolgono, e Camilo finisce una volta in carcere e un’altra all’ospedale. Due anni più tardi, (1959) trasformato in barbuto e in leggendario capo guerrigliero, entrerà all’Avana alla testa delle colonne dell’esercito ribelle, al fianco del Che come uno dei tre massimi leader della Rivoluzione cubana, che partì dalla Sierra Maestra ed attraversò l’isola fino a provocare la caduta del tiranno Batista e a conquistare l’Avana.
Non gli fu però concesso di partecipare a lungo, dopo la vittoria sulla dittatura, alla costruzione della sua nuova patria: il 28 ottobre 1959, Camilo Cienfuegos moriva in un incidente aereo.
Il suo cadavere non venne mai trovato e ancora oggi, 28 di ottobre, in ogni parte di Cuba la gente va in riva al mare o su un fiume e vi getta “una flora para Camilo”, un fiore per Camilo.
Ma egli continua a vivere nella memoria di un popolo che si riconosce pienamente in colui che, semplice lavoratore, fu esaltato dalla rivoluzione a capo leggendario di un popolo che ha fatto proprio il motto: “C’é stato un Camilo, ci saranno molti Camilo”.
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